martedì 18 maggio 2010

The Lone Freakman

Difficile mettere ordine nei pensieri freakiani. Sono due giorni che provo a mettere giù un discorso sensato, ma mi sa che mi sono incartata.
Dal delirio auto-analitico dell'altro giorno, una cosa mi è sembrata restare salda al suo posto: la metropoli. In modo molto diverso per ognuno, perché viviamo questa presenza tutti in modo diverso e personale, tutti ne facciamo esperienza, e credo che questo possa essere il punto di partenza. Cos'è una metropoli? È un agglomerato di persone che attira altre persone. Sembra una cosa molto disordinata: serve fare ordine. Quasi tutti cerchiamo di rientrare in quest'ordine, anche senza pensarci. Quando studiamo, lavoriamo, usciamo con gli amici, siamo in famiglia, facciamo shopping. Ci adattiamo agli spazi e ai tempi della metropoli, come le forme che si incastrano nelle rispettive fessure in quei giochi per insegnare la geometria ai bambini. Ma alcuni pezzi non vanno al loro posto, per scelta o per cause esterne alla loro volontà. Hanno una forma "incompatibile" e restano fuori dal gioco. Così identificherei i freak metropolitani.
Gli altri, più che essere freak, si percepiscono freak. Da un lato perché tutti vogliamo sentirci speciali, vogliamo uscire dall'agglomerato, dalla massa. Dall'altro perché ci sentiamo sostanzialmente incompresi dagli altri. Pensiamo di essere così solo noi, e questo perché non c'è comunicazione: io non posso raccontare a te il malessere che vivo e credo che tu non mi possa capire, penso di essere isolato, solo. Però non è possibile vivere in completo isolamento, senza relazionarsi con gli altri. Sembra una banalità, ma ne sono convinta. Per quanto instabili, è nostra assoluta necessità stabilire ponti, legami verso l'altro. Può esserci un momento in cui ci si chiude al resto del mondo, e questo momento può essere prezioso per conoscere se stessi, ma è una situazione che non può diventare permanente, pena lo scivolare in condizioni sociopatiche che tuttavia non mi azzarderei a definire "freaking" - anzi probabilmente faccio un uso improprio anche del concetto di sociopatia, e vi chiedo scusa, ma spero di farmi capire.
Lasciando stare queste posizioni estreme, è questa condizione ciò che interessa a me: lo sforzo dell'individuo di raggiungere il suo simile, il tentativo di vincere questa sensazione comune di straniamento e solitudine. Una ricerca valida in ogni luogo, nella nostra società contemporanea, ma che nel paesaggio urbano acquista connotazioni beffarde, a mio avviso interessanti, dato il suo carattere ossimorico (ma esiste sta parola?!?): la metropoli, ammasso di vite puntiformi che faticano a incontrarsi e a unirsi in linee che vincano almeno una battaglia contro l'effimero.
Ma che minkia ho scritto? Non lo so. La prossima volta me la cavo con un elenco puntato, che forse è meglio.

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