lunedì 31 maggio 2010

l' unica freak tra voi sono io

riapro il blog dopo lungo tempo ed eccolo là, tutto il dolore di un uomo riversato su pagine virtuali, non fisiche ma, ahimè, con altrettanto peso.
eppure spalanco gli occhi, esterrefatta, nel notare quanto possa io essere stata incompresa, malinterpretata, e non tanto dal povero Riccardo che, vivendo la vicenda dall'interno, subisce su di se il fardello di un coinvolgimento emotivo che gli impedisce, per forza di cose, una visione nitida della realtà, quanto piuttosto da tutti gli altri...pietosi commenti consolatori rivolti all'orgoglio del maschio ferito dall'insensibilità femminile (con tanto di annessa serie di clichè...), e neanche uno (o magari una, uno sarebbe pretendere troppo -clichè chiede clichè) che dalla superficie semplicistica delle apparenze abbia deciso di scavare un po' più in profondità, proseguire nel cammino dell'analisi arrivando a domandarsi, ad esempio: cosa la spingerà a tenere codesto comportamento nei riguardi di questo silenzioso, misterioso individuo?
beh, amici -ah no, dimenticavo, sono più sola che mai-, visto che non siete riusciti a risalire al sentimento che in me genera quest' uomo ve lo confesso io -rullo di tamburi..-...quest'uomo...mi inibisce, mi pone in uno stato di allerta continuo -e ora, cosa dirà?cosa farà?saprò rispondergli a tono?- che mi spinge a reagire prima che lui agisca, per dirlo in linguaggio elevato, a prenderlo per il culo prima che smascheri l' imbarazzo che mi provoca la sua imprevedibilità.
ecco. la freak ha svelato le sue carte -chissà se ora potrà ancora giocarsele a proprio vantaggio?
fate le vostre riflessioni, gente.
nel salutarvi -a debita distanza-, ci tengo inoltre a sottolineare che, al fine di ottenere coloritura drammatica, sono stati indebitamente trascritti insulti che posso giurare di non aver giammai lanciato nei confronti di chicchessia, nonchè sono state fatte illazioni gratuite su di un ipotetico suggeritore, del quale avrei necessitato per ricordare il compleanno di Riccardo: menzogna, vile menzogna. Con qualche ora di ritardo, ma l'ho ricordato da me. date il giusto tempo all' impulso elettrico di raggiungere, attraverso le sinapsi, l' assai lontano neurone successivo.
addio

e sono 80... Auguri Clint!

venerdì 28 maggio 2010

Fugaci apparizioni di un Robert di troppo

Vi posto lo schifosissimo video di ben 17 secondi fatto con la mia macchinetta da 4 soldi. Godetevi Roger "Bob" Corman in tutto il suo splendore!


Il Peggior Compleanno della mia Vita

Tutto è cominciato nella notte, quando un sogno ha rivelato oscuri presagi. Certamente suggestionato dalle letture della sera prima, da mother Abagail e la sua dimora rurale priva di modernità. Ero stato invitato a casa di Elena, non so esattamente da chi né per quale motivo. So semplicemente che mi ritrovavo in questa abitazione di campagna abbastanza tipica, con un praticello dove stendere le lenzuola, in una giornata molto assolata. Un sole opaco, posticcio. L'atmosfera era surreale. Una stanza scavata nella pietra, dall'aria estremamente umida, quasi sicuramente una lavanderia. Ad accogliermi la madre di Elena, gioviale e straordinariamente ben disposta. Mi sono svegliato e mi sono detto: "Bah, che strano sogno. Visto che Elena non c'era, potevo almeno provarci con sua madre.". Dopodiché ho accantonato il pensiero.
Saltando vari passaggi superflui, si arriva alla consueta lezione del giovedì. Tutti i miei nuovi amici mi hanno accolto con grandi feste e gli auguri di rito. A chi non fa piacere ricevere auguri quando compie gli anni? E a chi verrebbe mai in mente di privare una povera anima festosa di tale cortesia? La risposta è semplice ed è racchiusa in un nome: Elena. Persino l'assente Francesco mi ha inviato un sms per augurarmi buon compleanno. Ma lei, beh, lasciamo stare. Posso anche apparire come un tipo distaccato e privo di emozioni, invece in questo involucro di macho si nasconde la sensibilità di una ragazza di dodici anni (particolarmente emotiva per altro). Lei, crudele e sprezzante, è arrivata e mi ha ignorato. Peggio, si è voltata verso di me col fine di schernirmi, reo di avere qualche gusto un pochino infantile. Mi sono detto: "dai Riccardina, non te la prendere, ciò a cui non pensi non può ferirti.". E sono andato avanti, anche se qualcosa dentro di me si era già incrinato. Ho iniziato a fingere sorrisi di circostanza, comportamenti usuali; a dissimulare. Fin quando, con l'ausilio di un fortuito suggerimento, si è ricordata di farmi gli auguri. Povero ingenuo, quanta gioia nel mio cuore al solo sentir pronunciare quelle sciocche sillabe! "Sì, mi hai fatto del male, ma sono disposto a mettere da parte l'orgoglio!". Ah, mendaci pensieri di speranza!
Abbiamo visto il film, ho capito solo verso la fine che non era 'Aragorn: Origins', nonostante tutto mi sono un po' tranquillizzato. L'aria di festa che si respirava e uno strepitoso faccia a faccia con ROBERT Corman mi hanno tirato su di morale.
Purtroppo la serata è proseguita con a braccetto il mio tormento. Dopo esser stato insultato gratuitamente un paio di volte, l'apice si è raggiunto una volta seduti a sorseggiare i cocktail(s). Ed è stato un colpo così duro che faticherò parecchio ad assorbirlo completamente. Mi ha dato dello "strano", al ché, giustamente, mi sono offeso. Eppure lei, mai paga, ha perseverato nella presa in giro. Si mettono a referto almeno un paio di "stronzo" e un "ma tu che cazzo vuoi?". Non è disumanità questa? Verso un povero cristo che non bramava altro che un po' di buona creanza e un briciolo di considerazione? Non mi sentivo così fuori luogo dalla festa delle medie in cui le mie compagnette, durante il famoso gioco "obbligo o verità", sceglievano sempre di farmi dire una verità. I miei occhioni erano a quel punto un fiume colmo di lacrime, ridotti a due strazianti lucciconi. Volevo scappare correndo via come Napoleon Dynamite, a scrivere sul mio diario dell'umiliazione appena subita. A stringere forte il cuscino al mio petto e piangere lacrime amare mentre nel lettore cd continuava a suonare "One of Us" degli Abba. Poi ho reagito e ho detto a me stesso: "NO! E' giusto che tutti sappiano ciò che ho passato!". Così ho preso coraggio e ho scritto, per provare ad esorcizzare un dolore che mi accompagnerà ancora per tanto, tanto tempo.
Grazie a tutti per essermi stati vicino in questo momento buio. Grazie.

mercoledì 26 maggio 2010

Ricordiamo Joe Dante anche per questo...

Three Rules

1. Keep him out of the light, he hates bright light, especially sunlight, it’ll kill him.
 
2. Keep him away from water, don’t get him wet.
 
3. The most important rule, the rule you can never forget. Never. Never. Feed him after midnight.

....questa è la mia paura!

L'entrata da imbucati, i premi pipistrello dispensati a cani e porci, "Robert" Corman, Buro83 che se va perchè ...c'ha un impegno..., THE HOLE un film indimenticabile (pauuuuuuuura!!!), Deborah e noi altri "attori", la macchina del Maranga persa per il quartiere parioli e ritrovata dopo mezz'ora di giri, un panino leggero leggero all'una di notte, Riccardo che "non ha pagato il panino", una tassista di nome Soze..........to be continued.

The Hole




"....e tu aspettami a casa!"

giovedì 20 maggio 2010

Tema per la rassegna

Ho riflettuto in merito al tema da trattare e quello che è emerso dalla scorsa discussione è il nostro interesse verso il viaggio. Il tema può essere il viaggio come mutamento interiore, che ben si collega alle problematiche comuni di alienazione dell'individuo moderno. Poco importa se il viaggio sia di tipo religioso, sociale o politico: quel che veramente conta è che il viaggio esteriore intrapreso, sia lo specchio del cambiamento interiore in atto. A tal proposito si può menzionare la dolorosa dipartita tra madre e figlio nel film "Lunghi addii" di Kira Muratova, il viaggio poetico attraverso il tempo de "La jetée" di Chris Marker o quello attraverso la temporalità ciclica de "L'ignoto spazio profondo" di Herzog, o ancora il viaggio infernale della donna ne "Il vento" di Sjostrom. Tutti viaggi esteriormente diversi.... tutti accomunati dal macrocosmo del mutamento interiore.

mercoledì 19 maggio 2010

Quanto è ubriaco uno ubriaco abbastanza?

Girovago

Sono profondamente d'accordo con chi sostiene che il freak non deve essere per forza considerato come mostro, o come persona talmente eccezionale da dover essere additata dagli altri come "strana". Probabilmente è vero che nella società moderna siamo tutti un po' freak, ma non credo sia questo il punto, almeno per me. Ciò che m'interessa di più non è tanto metter in luce una figura eccezionale che per la sua diversità si distingua da tutto il resto del globo terrestra, ciò che vorrei analizzare è il senso di malessere generale che accomuna alcuni tipi di persone che non trovano nella società odierna una soddisfazione o quel senso di appartenenza proprio di coloro che si sentono (ma davvero lo sono?) perfettamente integrati. A questo tema è collegato quello della solitudine, figlia bastarda di tale stato di cose.
Non so se si può definire freak colui che prova ciò che ho appena descritto, forse in un senso più ampio del teermine sì. Spesso, però, delle parole si fa un uso che può divenire abuso.
Per quanto riguarda il concetto di metropoli, collegato a tutto ciò che ho detto, io lo intendevo, come ho anche provato a dire nell'incontro di giovedì scorso, non come una causa dello stato di cose sopra descritto, ma solo come un punto di riferimento geografico con il quale verrebbe più facile confrontarsi. Questo perchè è una realtà con la quale siamo a stretto contatto nella vita di tutti i giorni.
C'è ancora da discutere molto su questo tema, e Dio solo sa quanto mi riesce fastidioso e particolarmente scomodo fare sedute pseudo-psicoanalitiche. ma questo è quanto bisogna fare se qualcosa si vuol quagliare...
Se qualcuno non avrà capito nulla di ciò che ho scritto forse gli sarà più chiaro attraverso le parole di chi meglio di me ha saputo usare una penna...

Girovago

In nessuna
parte
di terra
mi posso accasare

A ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che
una volta
già gli ero stato
assuefatto

E me ne stacco sempre
straniero

Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute

Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
innocente

Campo di Mailly maggio 1918

(Giuseppe Ungaretti)

Lost in metropolitan space

Strade su strade. Vicoli. Case, finestre, portoni. Luci. Rumori. E ancora strade.
Voci. Esseri viventi, come monadi, si sfiorano in corsa verso qualcosa.Verso qualcuno. Una meta vaga per una corsa vana, che ha come fine ultimo il raggiungimento della felicità.
Rapporti labili si intrecciano e si slegano con ritmi metrolpolitani.
La mancanza di una comunicazione vera, profonda, sincera, genera solitudine.
La solitudine dell'incomprensione. Della non condivisione cronica. Diventa alienazione, diversità. L'unica scelta per chi non ha scelta, in una società isterica che ha smarrito le tracce della sua umanità.
Il diverso è colui che riscopre e segue queste tracce contro ogni corrente. E' colui che, libero dai vincoli dei normali rapporti sociali e a causa della mancanza di questi, sviluppa un suo personalissimo modo di sentire, agire, vivere.
Non è, in effetti, come è stato detto, necessariamente un sociopatico o un dissociato. La devianza non è necesariamente privazione. Può essere un arricchimento di livelli di percezione altri rispetto a quelli considerati normali.
Cosa è la "normalità" se non paura della non appartenenza.
Il diverso è colui che non ha paura di non appartenere, affermando il suo modo di percepire se stesso e il mondo.
Quello che mi piacerebbe approfondire, quindi, è la devianza generata da un tessuto urbano basato su una comunicazione che viaggia su un binario morto, che non ha più il fine ultimo di mettere in contatto le persone ma solo di generare rumore.

Spero che ciò che ho scritto non risulti banale e soprattutto che sia comprensibile!!
Besitos a todos

martedì 18 maggio 2010

Una difesa efficace

The Lone Freakman

Difficile mettere ordine nei pensieri freakiani. Sono due giorni che provo a mettere giù un discorso sensato, ma mi sa che mi sono incartata.
Dal delirio auto-analitico dell'altro giorno, una cosa mi è sembrata restare salda al suo posto: la metropoli. In modo molto diverso per ognuno, perché viviamo questa presenza tutti in modo diverso e personale, tutti ne facciamo esperienza, e credo che questo possa essere il punto di partenza. Cos'è una metropoli? È un agglomerato di persone che attira altre persone. Sembra una cosa molto disordinata: serve fare ordine. Quasi tutti cerchiamo di rientrare in quest'ordine, anche senza pensarci. Quando studiamo, lavoriamo, usciamo con gli amici, siamo in famiglia, facciamo shopping. Ci adattiamo agli spazi e ai tempi della metropoli, come le forme che si incastrano nelle rispettive fessure in quei giochi per insegnare la geometria ai bambini. Ma alcuni pezzi non vanno al loro posto, per scelta o per cause esterne alla loro volontà. Hanno una forma "incompatibile" e restano fuori dal gioco. Così identificherei i freak metropolitani.
Gli altri, più che essere freak, si percepiscono freak. Da un lato perché tutti vogliamo sentirci speciali, vogliamo uscire dall'agglomerato, dalla massa. Dall'altro perché ci sentiamo sostanzialmente incompresi dagli altri. Pensiamo di essere così solo noi, e questo perché non c'è comunicazione: io non posso raccontare a te il malessere che vivo e credo che tu non mi possa capire, penso di essere isolato, solo. Però non è possibile vivere in completo isolamento, senza relazionarsi con gli altri. Sembra una banalità, ma ne sono convinta. Per quanto instabili, è nostra assoluta necessità stabilire ponti, legami verso l'altro. Può esserci un momento in cui ci si chiude al resto del mondo, e questo momento può essere prezioso per conoscere se stessi, ma è una situazione che non può diventare permanente, pena lo scivolare in condizioni sociopatiche che tuttavia non mi azzarderei a definire "freaking" - anzi probabilmente faccio un uso improprio anche del concetto di sociopatia, e vi chiedo scusa, ma spero di farmi capire.
Lasciando stare queste posizioni estreme, è questa condizione ciò che interessa a me: lo sforzo dell'individuo di raggiungere il suo simile, il tentativo di vincere questa sensazione comune di straniamento e solitudine. Una ricerca valida in ogni luogo, nella nostra società contemporanea, ma che nel paesaggio urbano acquista connotazioni beffarde, a mio avviso interessanti, dato il suo carattere ossimorico (ma esiste sta parola?!?): la metropoli, ammasso di vite puntiformi che faticano a incontrarsi e a unirsi in linee che vincano almeno una battaglia contro l'effimero.
Ma che minkia ho scritto? Non lo so. La prossima volta me la cavo con un elenco puntato, che forse è meglio.

Mentali nomadismi pomeridiani

Prima di addentrarmi in più o meno coerenti elucubrazioni mentali di vario genere, vorrei parlarvi di un film che ho visto la settimana scorsa (visto che stiamo qui per parlare di cinema). Si tratta di Junebug, film indipendente che è stato in grado di arrivare agli Oscar grazie all'interpretazione di Amy Adams e che - credo- non sia mai uscito sui nostri italici schermi. Un film che mette in scena lo scontro tra due realtà diverse come la provincia americana e una grande metropoli come Chicago, attraverso i personaggi che le abitano e le rappresentano. I "provincialotti" del North Carolina (che parlano un inglese poco comprensibile anche alle più esperte orecchie) appaiono strani alla colta gallerista dell'Illinois, sono un mondo a parte, con le proprie tradizioni e codici che lei pian piano, tra un passo falso e l'altro, riesce a comprendere, pur rimandendone sempre ai bordi. A sua volta, questa "straniera" è una sorta di fenomeno da baraccone arrivato in paese a scombussolare le esistenze di tutti, ammirata da alcuni, vista con disprezzo da altri. In questo incontro-scontro, ogni personaggio è caratterizzato da una propria "freakkagine", piccole manie quotidiane che altro non sono che un modo per farsi notare, per superare quella sensazione di invisibilità, per evitare la solitudine e farsi accettare. Riuscirano i nostri eroi a superare queste barriere? La risposta, a mio parere, è vaga, aperta a più interpretazioni.



Ora, che c'entra questo film con i nostri amletici dilemmi? Secondo me, c'entra eccome. Lo scorso giovedì, più andavamo avanti con la nostra seduta pseudo-psicanalitica, più mi venivano in mente le scene di questo film. Devo ammettere che lì per lì la confusione era tanta, ma ripensandoci credo che un filo conduttore si possa facilmente trovare nelle nostre esperienze. Ciò che ci spinge nei nostri arzigogolati detour (!) cittadini è il bisogno di entrare in contatto con gli altri, di emergere dalle Particelle Elementari che sono le nostre esistenze. La metropoli ci fa sentire soli, come molti di voi hanno giustamente sottolineato nei post precedenti, ma, al tempo stesso, ci fa sentire parte di un tutto, come la particella fa parte di una molecola. La metropoli ci obbliga molto pirandellianamente a vestire i panni di Uno, nessuno, centomila, lottando per ritrovare noi stessi tra le tante maschere. A volte ci costringe ad una lotta all'ultimo sangue con gli altri e con noi stessi, altre ci porta ad una mite rassegnazione. Chi è allora il freak? Un individuo che cerca la propria Happiness? Chi tenta di sentirsi meno solo facendosi accettare dagli altri? Oppure siamo tutti un po' freak? La risposta è sì, sì e sì.



The photographer is an armed version of the solitary walker reconnoitering, stalking, cruising the urban inferno, the voyeuristic stroller who discovers the city as a landscape of voluptuous extremes. Adept of the joys of watching, connoisseur of empathy, the flâneur finds the world 'picturesque'.

Così scriveva Susan Sontag. E credo che, da critici in erba quali siamo, il nostro compito sia proprio quello di usare il cinema così come il fotografo usa la sua macchina, cercando di fotografare, tra un empatico voyeurismo e un distaccato coinvolgimento, la realtà che ci circonda. Forse tutto ciò sta arrecando ancora più confusione alla vostre brillanti menti. Di certo la mia somiglia ancora a una nebulosa. Ma, tra queste nebbie, credo che riusciremo a trovare la giusta strada.

Freak=contemporaneo

"Sono estremamente convinto che ogni essere umano soffra di una forma, seppur lieve, di autismo."
Partirei proprio da questa sintetica perla di saggezza che il nostro beneamato Riccardo ci ha regalato, subito prima di proporci una visione esattamente opposta alla nostra (chi l'avrebbe detto?) dell'idea di freak. Beh, sono assolutamente d'accordo con lui quando scrive che ci siamo scelti un gran bel concetto ampio per interpretarcelo un po'come fa comodo ad ognuno, ma prima o poi i nodi vengono al pettine ed è giunta l'ora di restringere il campo. Per Riccardo, mi sembra, il Freak attuale è colui che, nonostante le incalcolabili differenze enumerabili tra persona e persona, risulta essere più diverso del diverso, ad una distanza insormontabile dagli altri, da tutti. Eppure a mio parere, e mi sembra che in generale anche gli altri percepiscano come propria questa sensazione, oggi è molto più complesso risalire ad un modello di normalità che non a migliaia di esempi di freaks. Con questo, mi spiego, non intendo affatto che sia mai esistita una ipotetica “età dell'oro”in cui era normale essere normali, e che oggi “tutti sono strani”, “non ci sono più gli uomini di una volta”, “non c'è più morale”, né le mezze stagioni...dio mio, spero non mi consideriate così banale (commento che denota paranoia da autorappresentazione)...intendo piuttosto che l' allargamento dei propri orizzonti culturali, intellettuali e delle proprie possibiltà ad un contesto così ampio -il mondo è nelle nostre mani, ci si mostra nelle sue forme più disparate- ha costruito un approccio alla realtà mai sperimentato prima della nostra epoca, un approccio in cui il confronto non potrà mai essere rassicurante perchè troppo ampio: ci sarà sempre chi sta meglio o peggio di noi, chi è più arrivato e chi lo è meno, chi è più solo o più amato. Se il termine di paragone è oggi “tutto il resto dell'umanità”, allora inevitabilmente tutti siamo soli. Tutti siamo freaks. L'uomo contemporaneo è freak per nascita, perchè per quanto tenti di delineare una propria appartenenza ad un gruppo (su facebook, per strada) sa che, allo stesso tempo, deve tentare di essere unico per essere qualcuno, per essere interessante, e questo lo atterrisce perchè sa quanto è difficile essere integrato e al contempo diverso non da una piccola cerchia di persone, ma da tutti gli altri. Molti quelli che non reggono il peso di questa faticosissima battaglia sul filo del rasoio tra integrazione ed eccezionalità, e le esternazioni di questo malessere diventano estreme. Il Cinema è paradigmatico e metaforico per vocazione, per cui di questi estremi mi piacerebbe parlare. Ma la sensazione credo la viviamo tutti.

Freak e Solitudine

Credo che ognuno di noi si sia dimostrato entusiasta della proposta "freak" perché il termine ha innumerevoli chiavi di lettura ed interpretazioni. E, infatti, nelle descrizioni che ho letto sono pochi i punti in comune. Com'erano pochi quelli emersi durante la lezione dello scorso giovedì. E' difficile mettere d'accordo dieci o più teste su un argomento, se non impossibile. La vasta gamma di accezioni che può assumere la parola "freak" è parsa fare al caso nostro. Ho ascoltato molto attentamente le storie raccontate e letto con altrettata puntigliosità (più volte) i post precedenti. Forse sbaglierò, però mi sembra evidente quanto, più che di freak, qui si parli di disagio all'interno della società, soprattutto a contatto con una grande città, una metropoli. La difficoltà nel riuscire ad esprimere sé stessi, persino a capire esattamente chi siamo. Questo riassumendo barbaramente un'infinità di concetti assai più profondi. E' qui però che, con tutto il rispetto, non mi trovo minimamente d'accordo con la maggior parte di voi. E' un discorso talmente complesso da costringermi a rimboccarmi le maniche prima di formularlo, conscio dell'impossibilità di toccare ogni aspetto a dovere. Scoprirò l'acqua calda ma la parola chiave è: solitudine (e non a caso è stata una delle altre concrete proposte). Ognuno la combatte con le proprie armi, ognuno la vive a modo suo. Ogni azione, intenzione, pensiero, progetto, aspettativa, sogno, tutto è compiuto nel tentativo di ovviare a questa spiacevole condizione umana. C'è chi si sente meno solo in compagnia, chi leggendo un buon libro o vedendo un film. Ma questo non fa di nessuno un freak. L'epica battaglia contro le forze oscure della solitudine porta in luoghi in cui ci si sente a disagio, in situazioni in cui si dissimula la vera essenza di noi stessi, dedali emozionali da cui nessun filo di Arianna è in grado di tirarci fuori. Non può essere freak chi soffre perché non riesce a trovare la propria strada, è solo questione di tempismo, di fortuna, di scelte sbagliate o giuste, quasi sempre casuali. Sono estremamente convinto che ogni essere umano soffra di una forma, seppur lieve, di autismo. E per autismo intendo l'incapacità, più o meno marcata, di uscire dal proprio schema di ragionamento mentale. Ma questo, signori miei (e signore mie), è porca puttana stranormale.
Ok, tutto questo panegirico è il risultato di ciò che ho percepito alla fine del brain storming della settimana scorsa, rialaborato dopo un'attenta analisi (manco troppo attenta). Se non siete d'accordo, vi autorizzo a mandarmi affanculo co du mano e la voce di Mike Buongiorno adesso.
E qui mi riallaccio al concetto di "freak" e cosa rappresenta per me. Non importa tanto che abbia menomazioni fisiche, come la donna barbuta; ciò che fa di un essere umano un freak è la percezione che tutto il mondo ha di lui. E non parlo di uno sparuto gruppo di individui che lo additano come diverso solo perché è distante dalle loro concezioni. Il freak è unico nel suo genere, è inconcepibile, non ci si può mettere nei suoi panni anche provandoci. Può essere una discriminante negativa come positiva, su questo non metto bocca. Può essere Rain Man o il Joker. Ma di sicuro è un caso clinico che neppure il più brillante degli psichiatri riuscirà a risolvere.
Chiudendo, metto in piazza un pensiero non necessariamente sensato. Tutto quel condividere, quel parlare, mi ha fatto venire in mente un film. Complice soprattutto la scia immaginaria tracciata su un'inesistente mappa di Roma, che ci collega inesorabilmente. Il film è "I Heart Huckabees". Chi l'ha visto, credo capisca il perché.

Saluti e baci

lunedì 17 maggio 2010

Lo spazio del Freak

Portare un pò di se stessi all'interno di un progetto è una cosa difficile. E credo lo sia ancora di più nel nostro caso, ossia una rassegna di film, che sono già di per se opere altrui. Quindi opere attraverso le quali già "altri" hanno espresso se stessi e i loro punti di vista. In questo il ruolo della critica diventa una sorta di "esprimersi" di secondo grado, un esprimersi sul già espresso. Potrebbe essere una cosa poco stimolante, e invece secondo me non lo è! Perchè qui si tratta di far convergere percorsi singoli appunto, creando una sorta di "spazio" nuovo. Come un piccolo reticolato stradale che prima non c'era. Spazio creato dai collegamenti (link?) tra varie opere da noi scelte, così scoprendo nuovi sensi (e percorsi) in quelle opere. Questo però comporta riflessioni, comporta domande, comporta tempo. Ed è proprio il "tempo" che manca oggi. Il tempo metropolitano è una sorta di eterno presente che ti sconquassa con continui bisogni, desideri e varia macelleria visiva...ma a volte anche con visioni a loro modo bellissime. L'unica cosa che rimane salva e "primitiva", secondo me, è il contatto umano. Sempre più parcellizzato forse, ma che comunque continua ad essere ricercato. Io cerco questo contatto dalla vita, da quello che faccio, dalle scelte che (con fatica...) cerco di compiere. E parlando di uno spazio a noi tutti caro, lo spazio metropolitano appunto, l'unico modo per salvaguardare questo contatto umano è rimasto lo spostamento, la ricerca dell'altro. A me sembra che la città, lo spostamento fisico e reale sia paradossalmente diventato più intimo, più piccolo, più personale rispetto all'immenso universo virtuale che sta bello al sicuro (?) nelle nostre case (quindi nel nostro "piccolo" spazio...). Confinato tra uno schermo e una tastiera, o nel clic di una console.

Venendo al Freak, altro punto importante discusso, per me il disadattamento (interiore, esteriore, economico, familiare, artistico, ecc...) è proprio il cuore di ogni percorso umano odierno. Perchè tutti noi certamente sappiamo quanto la soglia di "fallimento" sia diventata altissima. Ogni giorno e ovunque tutti ti parlano di quella parola odiosa che è "competitività". E tutti (te stesso compreso) si aspettano tantissimo da te. Quindi chi è il Freak? Boh...tutti possono essere freak alla ricerca di varie ed inesistenti "normalità" mutuate da chissà quali modelli.

Ora...il punto di tutte queste mie (in)utili elucubrazioni è che forse scegliere Film che uniscano il concetto di "movimento" metropolitano con quello dei "tentativi" di non essere disadattati, potrebbe essere una buona partenza. Il Freak (il disadattato per eccellenza) non per forza come punto limite, "alieno" e mostro, ma come specchio di ogni disagio. Rispetto alla concezione classica del Freak , quindi, non sarebbero più gli altri a connotarlo come tale, ma questa diventa quasi una condizione privata. Si è o meno freak se ci si riconosce o meno come tali. Se si lotta con se stessi, o meno, per non riconoscersi più come tali. I tentativi fatti per sfuggire ai disagi diventano una sorta di "discriminante" e lo spazio metropolitano, che ancora può creare il contatto umano, diventa uno specchio vitale.

E poi per me il cinema è sempre stato importante e salvifico, un amico fidato nei momenti più bui della mia vita. Mi ha dato una strada "mia" quando pensavo che ce ne fossero solo di già belle e pronte. E quindi già di per sè il cinema, la rassegna cinematografica in un cineclub, diventa essa stessa luogo di aggregazione metropolitano e quindi...ecc, ecc....verso terzi e quarti stadi dell'analisi critica...

FREAK NELLE PERCEZIONI

Per come la intendo io, la figura del freak non è necessariamente una diversità fisica, geografica o psicologica. Il freak, a mio avviso, può essere anche colui che si mostra ben inserito in un contesto geografico-relazionale. Tuttavia, il modo in cui entra in contatto con il mondo e con certe realtà è totalmente differente dal resto del pianeta. Cerco di spiegarmi meglio: quello che mi piacerebbe mostrare del freak non è la sua inaccettazione, nonchè la sua sconfitta, bensì la sua incomprensione (che, ripeto, non necessariamente debba sfociare nell'esclusione). Vorrei far emergere attraverso il cinema quel mondo che mai nessuno capirà proprio perchè unico e solo. Una nuova esperienza, quella dello sforzo di comprensione, che, al giorno d'oggi, veramente pochi sono disposti a compiere. Il "mio" freak non percepisce se stesso come un perdente, anzi si sente arricchito da quella che, più che diversità, chiamerei maggiorazione. Vede gli altri come degli esseri tristemente limitati che, nella loro pragmaticità, non riecono a percepire il profumo di un'emozione mentre si è immersi in un traffico caotico. Non sto vaneggiando! Ho fatto solo delle associazioni insolite per darvi un'idea, come quella del "profumo" dei sentimenti (che generalmente, più che annusarli, si vivono e, il più delle volte, pure "automaticamente"); per rincarare la dose, ho aggiunto il contorno del traffico urbano, dove, più che annusare emozioni, sbatti la testa contro il clacson, proprio per far notare la capacità di allargamento percettivo del freak. Chiedermi esempi cinematografici al momento è chiedere troppo!!

A forza di essere vento

Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento”.

Con l’aiuto di alcune strofe di una canzone, una della più belle mai scritte, cerco di tratteggiare la figura del “diverso” che desidero portare alla luce attraverso il nostro progetto. Mi affascina la figura di chi è differente perché estraneo, straniero, straordinario. L’incontro con chi è “diverso”, per me, è una delle esperienze che più riesce a ad appagare e a colmare lo spirito di chi si pone in ascolto.

Porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare”.

La personale capacità di interpretare la realtà di chi differisce da noi per cultura, conoscenze, per il bagaglio di tradizioni che le sue origini gli hanno regalato, è un dono da non sottovalutare e da non lasciarsi sfuggire.

Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro”.

Questo incontro deve diventare uno scambio, un dono reciproco delle proprie entità, un passaggio di conoscenze, senza mai perdere le proprie essenze ma al contrario arricchendole e riempiendole di nuovi elementi. Il “diverso” che intendo rivelare attraverso le pellicole che sceglieremo è chiaramente una figura non solo positiva ma necessaria per la maturazione e il completamento della nostra esistenza, che riesce a comprendere la propria unicità soltanto con il confronto di chi è “diverso da sé”.

Saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace”.

sabato 15 maggio 2010

RICORDANDO JOHN

"Questo è l'elemento assolutamente fondamentale: che il fatto di essere un artista non è nient'altro che il desiderio, la volontà forsennata di un'espressione completa, assoluta di se stessi. Riuscire a far esprimere gli altri come loro vogliono e non come voglio io: ecco l'unico talento che potrei vantare. Tutti i personaggi dei miei film si esprimono come vogliono loro, mai come avrei potuto io" -- JOHN CASSAVETES

Momenti Creativi


Freak

La Cena

La Pioggia

... l'Amore

Effetti Alcoolici Parte I

Filosofeggiando...

Brain Storming??

Un saluto all'Uomo Ciglio

Somatizzazione dell'angoscia sociale

Effetti Alcoolici Parte II

Il Direttore e il Guru

Effetti Alcoolici Parte III

Il Commiato...