martedì 18 maggio 2010

Freak=contemporaneo

"Sono estremamente convinto che ogni essere umano soffra di una forma, seppur lieve, di autismo."
Partirei proprio da questa sintetica perla di saggezza che il nostro beneamato Riccardo ci ha regalato, subito prima di proporci una visione esattamente opposta alla nostra (chi l'avrebbe detto?) dell'idea di freak. Beh, sono assolutamente d'accordo con lui quando scrive che ci siamo scelti un gran bel concetto ampio per interpretarcelo un po'come fa comodo ad ognuno, ma prima o poi i nodi vengono al pettine ed è giunta l'ora di restringere il campo. Per Riccardo, mi sembra, il Freak attuale è colui che, nonostante le incalcolabili differenze enumerabili tra persona e persona, risulta essere più diverso del diverso, ad una distanza insormontabile dagli altri, da tutti. Eppure a mio parere, e mi sembra che in generale anche gli altri percepiscano come propria questa sensazione, oggi è molto più complesso risalire ad un modello di normalità che non a migliaia di esempi di freaks. Con questo, mi spiego, non intendo affatto che sia mai esistita una ipotetica “età dell'oro”in cui era normale essere normali, e che oggi “tutti sono strani”, “non ci sono più gli uomini di una volta”, “non c'è più morale”, né le mezze stagioni...dio mio, spero non mi consideriate così banale (commento che denota paranoia da autorappresentazione)...intendo piuttosto che l' allargamento dei propri orizzonti culturali, intellettuali e delle proprie possibiltà ad un contesto così ampio -il mondo è nelle nostre mani, ci si mostra nelle sue forme più disparate- ha costruito un approccio alla realtà mai sperimentato prima della nostra epoca, un approccio in cui il confronto non potrà mai essere rassicurante perchè troppo ampio: ci sarà sempre chi sta meglio o peggio di noi, chi è più arrivato e chi lo è meno, chi è più solo o più amato. Se il termine di paragone è oggi “tutto il resto dell'umanità”, allora inevitabilmente tutti siamo soli. Tutti siamo freaks. L'uomo contemporaneo è freak per nascita, perchè per quanto tenti di delineare una propria appartenenza ad un gruppo (su facebook, per strada) sa che, allo stesso tempo, deve tentare di essere unico per essere qualcuno, per essere interessante, e questo lo atterrisce perchè sa quanto è difficile essere integrato e al contempo diverso non da una piccola cerchia di persone, ma da tutti gli altri. Molti quelli che non reggono il peso di questa faticosissima battaglia sul filo del rasoio tra integrazione ed eccezionalità, e le esternazioni di questo malessere diventano estreme. Il Cinema è paradigmatico e metaforico per vocazione, per cui di questi estremi mi piacerebbe parlare. Ma la sensazione credo la viviamo tutti.

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